Un'abilissima penna, quella che stimo di più e a cui voglio un bene profondo, mi ha dedicato un racconto. Non so come abbia fatto a incidermi su un foglio, c'è il mio profilo in questo racconto, ci sono io. Questo è tutto quello che si deve sapere per sapere qualcosa di me, sono io, per una volta, il protagonista. E' in assoluto il racconto a cui tengo di più su questo blog, e paradossalmente, non l'ho scritto io.
Buona lettura.
È cominciato tutto quando era un bambino. Un giorno, al mare, stava seduto sulla sabbia e guardava lontano.
All’improvviso ha sentito il bisogno di racchiudere l’infinito che vedeva; sapeva già che la mente non può aprirsi così tanto da contenere una meraviglia sconfinata, invincibile.
È cominciato tutto, quasi, per gioco: con l’indice ha disegnato un labirinto sulla sabbia. E lì, in quei corridoi della mente, si è concentrato il senso e l’avvenire delle cose.
In quel luogo dove terra e mare - pensieri umani e pensieri divini - si toccano per mischiarsi, ha creato la dimensione in cui gli istanti si perdono per trovare nuove strade. Per nascere a nuova esperienza. A tempo nuovo.
Ancora bambino, ha capito il modo di capire: circoscrivere l’impensabile in un labirinto. E quello che prima non riusciva a comprendere, ora, gli sembrava così semplice.
/Il cielo scende sulle cose umane e le rende immortali
La terra si frantuma in polvere e si offre all’acqua
Acqua che la accarezza e la sconvolge
La terraferma non scompare: si fa piccola e leggera perché il mare la corteggia e la porta via con sé
Il cielo guarda silenzioso, e offre una tela su cui dipingere questo gioco sublime/
Ancora bambino, ha capito il modo di capire: labirinti.
Ha creato un punto di partenza affinché quella rivelazione troppo potente potesse scriversi nei suoi ricordi, nella sua carne.
L’universo si è incanalato nell’unico ingresso lasciato sulla sabbia. E si è perso tra quelle linee. Si è perso negli occhi di un’anima giovane.
In quel pomeriggio di fine estate niente avrebbe avuto più senso se non a partire da quei percorsi squilibrati. Niente sarebbe più stato, senza un labirinto in cui abitare.
Ora è un uomo e non ha più bisogno di disegnare, di osservare i muri innalzati per confondere e chiarire la realtà. Adesso vede ciò che pensa; vede più di qualsiasi altra persona perché obbliga il reale a cercare modi di fuggire dal suo cervello.
E le cose fuggono. Sì, prima o poi fuggono. Ma ciò che lasciano è di gran lunga più importante.
Perché lasciano i loro fallimenti, e le vittorie, e le attese pazienti, e l’ansia di andar via, e la gioia di trovare la strada, e il dolore di una prigione, le ferite di sfide opache.
E, in quei labirinti, abbandonano l’avvenire. Lo compiono già prima che sia.
Per la strada la gente cammina e va.
Per la strada lui misura, calcola, progetta. Disegna nello spazio vuoto del suo cervello e ciò che guarda si veste di un abito nuovo. Non è difficile imbattersi in lui e vederlo muovere occhi, mani e testa alla ricerca di curve, rettilinei, ostacoli.
E dentro sente come una litania che, piano, si trasforma in cantilena e poi, diviene melodia.
Crea un muro: nasce la musica.
Crea un percorso: cresce la musica.
Crea l’uscita: è sinfonia.
Danza in questi suoi labirintici amplessi di immaginazione. Ma non è fantasia. È necessità e dolore e felicità.
Eccolo che si muove al di sopra di tutti per guardare, danzando invisibile nell’alto, come tutto vincerà. Per guardare come le cose avverranno.
Scelte. Dubbi. Rimpianti. Certezze. Tutto si scioglie e diviene pensabile.
Artefice, guarda per essere artefice.
Crea labirinti per dialogare col mondo. È un labirinto – si perde in se stesso, si è perso-.
Un giorno troverà qualcuno che vorrà rincorrere e inseguire. Troverà qualcuno che gli indicherà la via – oppure si perderà con lui e lì sarà di nuovo gioco di spirito affamato in riva al mare. Qualcuno, stavolta, sarà lì con lui a scivolare di nuovo, e per sempre, sull’avvenire che si compie prima del tempo, in riva al mare.
All’improvviso ha sentito il bisogno di racchiudere l’infinito che vedeva; sapeva già che la mente non può aprirsi così tanto da contenere una meraviglia sconfinata, invincibile.
È cominciato tutto, quasi, per gioco: con l’indice ha disegnato un labirinto sulla sabbia. E lì, in quei corridoi della mente, si è concentrato il senso e l’avvenire delle cose.
In quel luogo dove terra e mare - pensieri umani e pensieri divini - si toccano per mischiarsi, ha creato la dimensione in cui gli istanti si perdono per trovare nuove strade. Per nascere a nuova esperienza. A tempo nuovo.
Ancora bambino, ha capito il modo di capire: circoscrivere l’impensabile in un labirinto. E quello che prima non riusciva a comprendere, ora, gli sembrava così semplice.
/Il cielo scende sulle cose umane e le rende immortali
La terra si frantuma in polvere e si offre all’acqua
Acqua che la accarezza e la sconvolge
La terraferma non scompare: si fa piccola e leggera perché il mare la corteggia e la porta via con sé
Il cielo guarda silenzioso, e offre una tela su cui dipingere questo gioco sublime/
Ancora bambino, ha capito il modo di capire: labirinti.
Ha creato un punto di partenza affinché quella rivelazione troppo potente potesse scriversi nei suoi ricordi, nella sua carne.
L’universo si è incanalato nell’unico ingresso lasciato sulla sabbia. E si è perso tra quelle linee. Si è perso negli occhi di un’anima giovane.
In quel pomeriggio di fine estate niente avrebbe avuto più senso se non a partire da quei percorsi squilibrati. Niente sarebbe più stato, senza un labirinto in cui abitare.
Ora è un uomo e non ha più bisogno di disegnare, di osservare i muri innalzati per confondere e chiarire la realtà. Adesso vede ciò che pensa; vede più di qualsiasi altra persona perché obbliga il reale a cercare modi di fuggire dal suo cervello.
E le cose fuggono. Sì, prima o poi fuggono. Ma ciò che lasciano è di gran lunga più importante.
Perché lasciano i loro fallimenti, e le vittorie, e le attese pazienti, e l’ansia di andar via, e la gioia di trovare la strada, e il dolore di una prigione, le ferite di sfide opache.
E, in quei labirinti, abbandonano l’avvenire. Lo compiono già prima che sia.
Per la strada la gente cammina e va.
Per la strada lui misura, calcola, progetta. Disegna nello spazio vuoto del suo cervello e ciò che guarda si veste di un abito nuovo. Non è difficile imbattersi in lui e vederlo muovere occhi, mani e testa alla ricerca di curve, rettilinei, ostacoli.
E dentro sente come una litania che, piano, si trasforma in cantilena e poi, diviene melodia.
Crea un muro: nasce la musica.
Crea un percorso: cresce la musica.
Crea l’uscita: è sinfonia.
Danza in questi suoi labirintici amplessi di immaginazione. Ma non è fantasia. È necessità e dolore e felicità.
Eccolo che si muove al di sopra di tutti per guardare, danzando invisibile nell’alto, come tutto vincerà. Per guardare come le cose avverranno.
Scelte. Dubbi. Rimpianti. Certezze. Tutto si scioglie e diviene pensabile.
Artefice, guarda per essere artefice.
Crea labirinti per dialogare col mondo. È un labirinto – si perde in se stesso, si è perso-.
Un giorno troverà qualcuno che vorrà rincorrere e inseguire. Troverà qualcuno che gli indicherà la via – oppure si perderà con lui e lì sarà di nuovo gioco di spirito affamato in riva al mare. Qualcuno, stavolta, sarà lì con lui a scivolare di nuovo, e per sempre, sull’avvenire che si compie prima del tempo, in riva al mare.
2 commenti:
Bellissimo racconto. La voce che ci guida verso questo labirinto d'emozioni è lieve e dolce. Fortunato ad avere qualcuno che, oltre a volerti bene, ti conosca così a fondo e te lo sappia dire in modo tanto affettuoso.
--è una cosa potentissima questo racconto/cronaca/svelamento/profezia, anche solo da concepire, figuriamoci da commentare. Ci provo lo stesso, con la richiesta all’autore e al protagonista, di non offendersi in alcun modo (le mie saranno solo pure congetture e personali sensazioni
L’autore conosce il protagonista meglio di come lui conosca se stesso probabilmente, per maturità di cuore e spirito dell’autore o forse perché l’autore assiste dal di fuori e riesce ad analizzare e rimanere in qualche modo distaccato, pur “amando” il protagonista. E può essere così solo grazie all’amicizia, alla fedeltà, alla pazienza, all’ammirazione, forse un pizzico di invidia e timore anche...
Di certo il labirinto del protagonista è affascinante ma ci vuole un coraggio non indifferente per volerci stare una volta compreso come ragiona il protagonista.
Il finale descritto dall’autore è un messaggio di amore e speranza, che si rende quasi palpabile e certo come qualcosa di reale di cui si fa esperienza e che in effetti è il miglior augurio che il protagonista potesse sperare di ricevere per il proprio futuro: incontrare un’altra anima che capisca e condivida, che gli tenga la mano nel labirinto, senza paura di perdersi ma con la forza d’animo necessaria per farlo all’occorrenza o impedire a lui di farlo e ugualmente riuscire a rimanere in riva al mare a progettare insieme alla follia visionaria e lucida del protagonista. Il protagonista potrebbe essere l’ordine architettato ad hoc per il caos dell’altra anima per esempio, oppure il contrario.. chi può dirlo
Complimenti vivissimi all’autore, non solo per la straordinaria capacità espressiva, ma anche per la volontà di penetrare nella mente e donare al protagonista un pezzo di sé e del suo talento nel comprendere il suo animo e volerglielo comunicare senza reticenze, abbellimenti dettati dall’affetto o giri di parole ridondanti e inutili. E’ una lettura utile al protagonista e a tutte le comparse (o co-protagonisti per concessione ed esigenza del protagonista), che sono presenti e/o saranno future nel suo teatro labirintico e speciale, universo aperto a tutti ma non sempre facilmente codificabile, come è giusto che sia con qualcosa che sembra stare oltre e nello stesso tempo dentro le cose del mondo.
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