Lisboa


I tetti sono sempre uguali, rossi, squadrati, dall’alto la città è una ripetizione di parole simili, cantilene -  ma dal basso, una volta lasciato l’aereo e aver camminato a caso per le strade, si ha la consapevolezza che ogni palazzo ha una faccia diversa, una trama irriconoscibile, dorsi di animali di cera poggiati ai cigli delle strade. Ogni vicolo è una discesa impensabile o un incrocio irrisolto, non si capisce bene dove inizi una strada e dove realmente muoia l’altra. Lisbona è una città dai confini sgualciti, dove la sicurezza di una via dritta termina talvolta nella meravigliosa bellezza di un punto di vista - un miradouro, come lo chiamano i lisboeti - dove la città si lascia scoprire e mostra la pelle stanca di donna antica, formata da età scomposte, un insieme di quartieri che stanno messi insieme uno sull’altro come una fila ciondolante di piatti in una cucina piena di odori di nazioni diverse. Lisbona la riconosci coi suoni, ti potresti muovere con gli occhi bendati e indicare l’Alfama e il fado, l’elettrico 28 che scarrozza i turisti mai avvezzi a rapide salite o a discese a strapiombo; la musica cubana dai locali sudati della Baixa, la piazza fatta di decine di lingue diverse di Martim Moniz, i bicchieri a Cais do Sodré, la musica allegra e malinconica della Brasileira. Tutto si annulla con il denominatore comune di una linea orizzontale sempre visibile: il silenzio del Tejo si beve tutti i suoni e restituisce un paesaggio finto, quel fiume largo che a tutti ricorda la finzione di un oceano che è poco più in là. Il vento la fa da padrone, scombina i capelli di Lisbona e muove le cose, i bicchieri scivolano, i cappelli volano, gli scontrini dei bar si perdono, non ti resta che girarti da un’altra parte se la città ti colpisce con un’immagine che sai che diventerà ricordo, cristallo indistruttibile nella memoria. Il sole sparisce e le luci del ponte si accendono ed è allora che riconosci la città nel momento in cui si traveste con la notte e diventa un’altra cosa. Nella metamorfosi, sospiri e ripensi a come sarebbe volare dall’alto, e poi scendere a strapiombo sulla città, come fanno ogni volta gli aerei oltre la finestra, atterrano in un aeroporto interno e ogni volta Lisbona diventa vittima di un attacco rapace. Ripensi alla prima volta e allora sospiri ancora. E poi non ci ripensi mai più e decidi di dimenticarlo fino alla prossima volta in cui ti capiterà di scorgere la particolarità di una città che hai iniziato ad amare.

Nessun commento:

Posta un commento