Stirpe- 34


In qualche luogo della galassia, si trova una stirpe di esseri viventi completamente differente da tutte le altre creature che si sono sviluppate nella Via Lattea.
Il loro pianeta si chiama Mellion, l’unico del loro sistema. Al centro, non c’è nessuna stella.
Ci sono due buchi neri, uniti uno nell’altro, che tentano invano da ere di risucchiarsi. Si danno le spalle, e nessuno riesce a vincere sull’altro – nessuno cede alla resa.
Essi si chiamano: Yon e Delethion, o semplicemente Thion.
La vita su questo pianeta è del tutto singolare, completamente diversa da tutti gli altri sistemi di stelle.
Questi esseri viventi si chiamano Farion. Per loro il tempo non esiste, vivono solo la dimensione spaziale dell’esistenza.
Essi sono il Tempo.
Non esiste giorno, su Mellion. I buchi neri lasciano filtrare una luce bianca, evanescente, simile all’aurora terrestre, per tutto il giorno. La vita giace nella penombra, e tutto sembra inquieto e incantato. Enormi radici degli alberi si ramificano verso il cielo in cerca della poca luce presente, poche cose vivono. Tutto è morto, o mai nato. O assopito.
I Farion sono rimasti in pochi, ma non perché sono morti. Loro non possono morire, ricordatelo. Non sono mai stati molti, ma alcuni si sono ritirati a vita ascetica, solitaria. Questa scelta si chiama: il Sonno Profondo. E ciò che fanno per accettare la loro vita smisurata, cercano una dimensione personale, per addormentarsi per sempre. Stanno lì, per interi miliardi di anni, con gli occhi chiusi, come fossero attimi. Sulla terra l’uomo accende il primo fuoco, e lo appicca sulla Bastiglia: è la durata del loro respiro.
Non sono poi così diversi dagli umani, solo che sono molto diversi fra loro. Alcuni hanno le ali, tutti hanno due occhi, due braccia, due gambe. Sono simili a scheletri, con le ossa incavate nel cranio e i bulbi oculari vacui facili da riconoscere nella perenne penombra di Mellion.
Io sono uno di questi.
Io sono Reelion.
Io sono il tempo della Terra.
Ognuno di noi può scegliersi un pianeta, un sistema, una stella. E scommettiamo tra di noi se ci sarà vita, prima o poi, se nascerà una razza intelligente, o i soliti stupidi esseri invertebrati. Se ci saranno lotte tra le diverse razze, chi sopravvivrà, chi no.
Scommettiamo sulla vita e sul nulla come se fosse terra arida tra le mani da scagliare rossa verso il cielo.
L’attesa, è il nostro passatempo.
Se uno dei Farion si chiude nel Sonno Profondo, quel sistema vacilla. Il pianeta comincia ad addormentarsi anch’esso, la natura muore. Il patto è che non ci manifesteremo mai. Alcuni degli altri si sono interessati al mio gioco. Alla mia Terra, appunto. E mentre io mi chiudevo in un respiro, si sono divertiti a manifestarsi come divinità sacre, e da lì sono nate le religioni che dividono la mia Terra.
È tutta colpa della mia apnea.
Il nostro patto è non palesarsi mai. Non posso rivelarmi, al mio pianeta. Lo amo eppure non posso farmi amare. Sono io, il loro tempo, e non possono saperlo.
Quando qualcosa non va, si può resettare tutto, come in un gioco. Ricominciare daccapo. L’ho fatto già quattro volte. Tutto è ritornato di nuovo. Esattamente nello stesso modo. Ecco perché nessuno gioca più con me. Sulla Terra, gli uomini – le creature più intelligenti, che hanno preso il dominio del pianeta – sono scontati e prevedibili. Totalmente privi di intuito. Sono come Yon e Thion, cercano per vite intere di divorarsi tra di loro, senza riuscirci.
Ora siamo alla Quinta Grande Ripetizione. Anche stavolta, tutto come al solito. I Romani, Scoperta dell’America, elettricità. E poi, le Grandi Guerre.
Devo impedire che accada di nuovo, devo impedire che accada la Terza. Ho cercato di cambiare qualcosa, ma per ben quattro volte, accade sempre.
Gli uomini si trucidano tutti, per oltre cento anni, che sembrano aver peso anche per me, il tempo per ripulirmi una cavità nasale. Si ripete ancora.
Ma stavolta mi fermo prima.
Nel sistema cattolico-europeo, sta per iniziare il 2012.
È tempo che parta. Devo riassettare tutto. Devo scagliarmi contro la Terra per impedire che il mio passatempo si rompa ancora una volta.
Sotto la luce della penombra, partirò.



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